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La Maison des Chamois - Vallestretta
Vista da fondo valle la Maison des Chamois, appare come un minuscolo puntino bianco, tra la terra e il cielo, aggrappato alle pendici del Mont Tabor che dall''alto dei 3200 metri domina la selvaggia ed incontaminata Valle Stretta.
Luogo di frontiera. Da queste montagne, nel giugno del ''40, l''Italia di Mussolini entrò in guerra prendendo a cannonate la Francia, nel velleitario tentativo di sfondare oltre le Alpi. L''unico risultato fu che alla fine delle ostilità, nel ''47, la Valle Stretta divenne territorio francese in virtù di un trattato internazionale.
Ma il Comune di Nèvache, al quale amministrativamente la Vallèe Etroite appartiene, è al di là delle creste: per arrivarci bisogna arrampicarsi sui tornanti del colle della Scala, oppure risalire a piedi la vallata fino al Thures o al col du Vallon in ore e ore di sentiero, dove il silenzio è rotto solo dal fischio delle marmotte. Non è raro scorgere branchi di camosci o lassù, ancora più in alto, l''aquila.
Incredibile la storia di quella capanna bianca in cima alla Valle Stretta. Da mezzo secolo è la meta di migliaia di ragazzi di periferia: del Lingotto, di Mirafiori Sud, di Nichelino
UNA VECCHIA MINIERA
Tanti anni fa quella capanna era un rifugio per i minatori dell''antica miniera di ferro del Banchet. Scavavano sotto terra lunghi cunicoli, nella viva roccia, a colpi di piccone. Un posto assolutamente isolato. Il paese più vicino, Melezet, distava ore e ore di cammino. Nei paraggi si vede ancora oggi qualche vetusto macchinario arrugginito utilizzato negli ultimi anni di attività della miniera che nei primi decenni del Novecento, dopo secoli, a via a via si ridusse fino ad essere completamente abbandonata.
Correva l''anno 1955 quando, per la prima volta, si trovò di fronte a quella capanna un giovane venticinquenne di Lingotto: Paolo Gariglio, seminarista, all''ultimo anno di teologia. Cercava una casa, in montagna, per portarci i ragazzi della parrocchia d''estate. Tramite un suo cugino, Natale Orecchia, il dott. Baralis, Mario Rei e l''ing. Cane della Fiat Miniere (proprietaria degli impianti) era venuto a sapere della possibilità di sistemare e utilizzare la costruzione come rifugio. Il posto era magnifico, anche se un po''fuori mano...!
LA GRANDE AVVENTURA
Nell''estate del 1956 comincia la grande avventura. Don Paolo è sacerdote da poche settimane. Il primo "campo" in Valle Stretta, che parte ad agosto, è quello della squadriglia scout del reparto To31 diretto dal prof. Giacomo Franco. Diciassette partecipanti: unico mezzo di locomozione per quell''anno è una sgangherata lambretta; il resto è tutto cammino a piedi; per letto c''è il pavimento di legno. Nello staff che segue con apprensione i primi passi della Maison ci sono già Guido Guglielmina, amico per la pelle di don Paolo, e un giovanissimo Osvaldo Gramegna che per tante stagioni farà la spola a smontare e rimontare il mitico refettorio dietro la casa per salvarlo dalla coltre di neve.
L''anno successivo i "campi "avranno già una consistenza e un calendario: due turni e mezzo. In luglio e in agosto per i ragazzi dell''Azione Cattolica di Lingotto (primo capo campo Giovanni Aliberti) e poi il campo della squadriglia scout. Si dà il via ai primi lavori di ristrutturazione della Maison.
Nell''estate del 59 si acquista un motocarro Guzzi 500 d''occasione, mitico antenato della Land Rover verde. Anche questo è un residuato bellico che nella guerra dei Balcani trasportava un cannoncino. L''ultima battaglia la combatte con valore, per sei anni, sull''unica mulattiera che collega la Valle Stretta a Bardonecchia. "Talina" - così viene soprannominato il motocarro - arranca eroicamente tra le rocce trasportando tonnellate di vettovaglie è generi alimentari, oltre alle balle di paglia che servono per la notte.
Già perché i ragazzi dormivano sulla paglia o su lettini improvvisati. Solo nel 1963 arrivarono veri e propri letti a castello a tre piani, dono di don Arbinolo fondatore e direttore della "città dei ragazzi". Manco a dirlo anche i letti avevano fatto la guerra: provenivano infatti da un campo allestito dai tedeschi nell''area torinese per gli italiani coattati al lavoro nei tristemente noti campi Tod istituiti nel 1944.
Nel ''67 arrivano i primi gruppi da Mirafiori Sud. La Casa dei Camosci non ce la fa a contenerli tutti tant''è che nei periodi di punta della stagione ogni piano circostante comincia a trasformarsi in accampamento di tende canadesi. In più c''è un problema: le antiche mura della Maison cominciano a dar segni di cedimento. È urgente intervenire. In un memorabile campo di lavoro, dal tanto sudore, una quindicina di volontari tira su una struttura di cemento che aggancia i muri maestri alla roccia e che renderà possibile qualche anno dopo l''ampliamento del rifugio con la creazione di un altro spazioso locale - soprannominato la stamberga - dove una delle pareti è costituita dalla viva roccia della montagna.
Nel ''73, dono del rag. Mario Ferrero cugino del parroco, arriva anche la gloriosa Land Rover verde che da allora fino al nostri giorni farà parte integrante del paesaggio, come la Scacchiera...
Le estati e gli anni passano. Il Card. Pellegrino a fine ''76 manda don Paolo Gariglio in un''altra parrocchia di periferia. Destinazione: Nichelino.
Anche qui i ragazzi non mancano di certo e la proposta dei Campi non tarda a farsi breccia. Si decolla di nuovo. Nel luglio del ''77 la Maison des Chamois ospita il primo, gruppo nichelinese; in quella stagione seguono altri cinque turni; oltre trecento i partecipanti.
A partire dall''81 il rifugio è rimesso interamente a nuovo: cucina, refettorio, cappella, tetto, raddoppio della Scacchiera. Tra i primi protagonisti di quella lunga stagione di lavoro c''è una schiera di volontari tra i quali fratel Beppe Negro, giuseppino del Murialdo ora in missione in Africa. C''è anche il signor Ligustri, papà di Gianfranco, l''animatore diciassettenne che nel giugno dell''80 proprio in Valle Stretta aveva perso la vita cadendo in un dirupo. Fu quello il momento più drammatico della storia dei Campi da cui prese vita la Croce dei Ragazzi in Cielo, eretta a pochi metri dal luogo dove morì Gianfranco.
Quella Croce non ha fatto venir meno l''entusiasmo, la spensieratezza delle estati passate lassù. C''è un pensiero in più, rivolto su, oltre la Maison, oltre il Tabor. Là, alla Vita oltre la vita.
"Qui il Signore parla..." Così sta scritto su un cartello che accoglie chi dalle faticosa salita arriva alle Maison. Davvero da cinquant''anni per migliaia di giovani di periferia questo è un luogo speciale.
M.C |
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