Valore
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C’
era una volta re Artù,
paladino della giusti-
zia e del bene, che ave-
va radunato nelle contrade della
Bretagna un gruppo di cavalieri
dal cuore nobile e generoso, in-
torno al simbolo di un potere
condiviso: una Tavola Rotonda.
Era l’epoca in cui il primato per-
sonale di un uomo d’onore, la
sua valentia, non amava misu-
rarsi mediante smodati sbocchi
di crudeltà e ferocia (per questo
genere di cose eccellevano i bar-
bari), ma compiacendosi di una
stima tributata da altri: ovvero
per il valore indiscutibilmente ri-
conosciuto da nemici e amici di
un’autorevolezza che non ha bi-
sogno di ostentare i segni della
propria superiorità. E per saggia-
re la quale singolari tenzoni per
scopi di bene, oppure sfide mo-
dulate al ritmo del gioco, faceva-
no all’uopo.
Molto labile, certamente, in un’e-
poca di menestrelli e cantori d’a-
more, un po’ soldati e un po’
poeti, il confine tra orgoglio e no-
biltà, tra coraggio e temerarietà,
tra onore e auto-affermazione.
Ma come soleva dire lo stesso re
Artù: «Di un cavaliere io accolgo
tutto: bene e male insieme. Non
si può amare qualcuno a pezzi».
Era l’epoca dell’uomo cavallere-
sco.
Epoca di sogni. Forse. Ma non di
illusioni. Anche dietro un rac-
conto si possono celare verità
eterne. E perché dunque dovreb-
be fare eccezione l’epoca dei ro-
manzi di epica medievale. Essa
fu l’epoca in cui si avvertì per un
momento che un uomo di valore
è un uomo con valori. Si badi be-
ne: non “valori” di quelli da te-
nere in tasca, come monete d’oro
che si possono perdere, ma valo-
ri come scopi che forgiano la
stoffa dell’essere, cioè scopi de-
gni della persona umana e degni
di essere perseguiti con tenacia e
coraggio, generosità e nobiltà,
grazia e sobrietà. Fu l’epoca in
cui, per qualche tempo, si comin-
ciò a definire l’uomo, ossia a tro-
vare i termini più qualificati per
indicarlo, erigendone a criterio
non più soltanto le imprese (si
pensi all’uomo “condottiero”, da
Alessandro Magno a Giulio
Cesare), o le capacità razionali
(da Aristotele a Cartesio), ma con
i nomi di eroe e paladino.
Un passo non certo da poco, se ci
si riflette bene. Perché il tempo e
sedicenti filosofie di libertà han-
no cambiato queste definizioni
con altre – diciamo amaramente
– più “realistiche” solo perché at-
testate tutte al livello del più bas-
so profilo del carattere umano e
non invece alle vertiginose altez-
ze delle sue più nobili aspirazio-
ni, stimolo agli slanci dei suoi
miglioramenti. Ecco comparire
allora l’uomo non più cavaliere
ma borghese, operaio, intellet-
tuale, post-moderno, dandy, ca-
binotto e manager. Ossia un uo-
mo non più definito mediante la
saggia indagine (ed il vaglio)
delle qualità del cuore, ma me-
diante i nomi delle sue azioni,
mansioni, censo, classe, frivolez-
ze e tic. Il tutto, inseguendo il mi-
to artificiale di un uomo ritenuto
“perfetto” perché incredibilmen-
te più giovane e inesperto, corag-
gioso perché incosciente, libero
perché senza passato, con meno
onore e più avidità di denaro.
Q
uesto cambiamento di lin-
guaggio fa pensare. Trovo
sempre stimolante in proposito
ciò che Charles Péguy, autore
francese del secolo scorso, scri-
veva ne “La nostra giovinezza”:
«Subito dopo di noi comincia il
mondo che noi abbiamo chiamato e
continueremo a chiamare il mondo
moderno. Il mondo che fa il furbo. Il
mondo delle persone intelligenti;
progredite, scaltrite, delle persone
che la sanno lunga, alle quali non si
può darla ad intendere. Il mondo di
quelli che non hanno più niente da
imparare. Di quelli che fanno i fur-
bi. Che non si fanno imbrogliare, che
non sono degli stupidi. Come noi.
Vale a dire: il mondo delle persone
che non credono più a niente, nep-
pure all’ateismo, che non si danno,
non si sacrificano mai. Precisamen-
te: il mondo di quelli che non hanno
una mistica. E se ne vantano».
Afronte di questo mondo mo-
derno, guardando all’epoca dei
cavalieri, noi proviamo ancora,
per fortuna, della profonda no-
stalgia. E come credenti, anche
uno stupore ed una ambizione
particolari. Perché dietro alle sto-
rie, queste sì, davvero obsolete,
di tanti romanzi, resta il fascino
di méte, progressi e valori eterni
che rappresentano una parte im-
portante della versione compiu-
ta in Cristo dell’uomo che siamo:
una sorta di preludio all’uomo
delle beatitudini (si veda il capi-
tolo quinto del Vangelo secondo
Matteo) che Gesù ci ha insegnato
e a cui ci ha provocato, rivelando
il volto di Dio e il progetto di uo-
mo in cui, con amore e per amo-
re, siamo stati creati. Il valore di
quella pagina non cesserà mai di
stupire, pensandola pronunciata
dal Figlio di Dio, vero uomo, che
con il suo comportamento, i suoi
gesti, silenzi, sogni e opere l’ha
realmente incarnata. La figura
del cavaliere epico medievale,
nella sua aspirazione religiosa,
ha cercato di irradiarne una luce
parlando di nobiltà, valori e ono-
re laddove la Scrittura parlava di
cuore e di martirio: ossia testi-
monianza nella propria vita di
un Dio di amore. Ma un po’ pu-
rificata dal suo contesto antico e
fantasioso quella figura può an-
cora oggi essere additata, se ben
descritta, come mèta a cui guar-
dare: esempio di come letteratu-
ra e religione sappiano ancora
oggi porgersi una mano, amica,
capace di capire e farsi capire.
Servendomi perciò dell’acume
descrittivo di Romano Guardini,
che fu eccellente teologo, filolo-
go, letterato e maestro di molte
generazioni di studenti valorosi
nella Germania del secolo scor-
so, mi è capitato un giorno di of-
frirne un ritratto ad un gruppet-
to di ragazzini (allora) in cam-
peggio in montagna dopo una
faticosa escursione.
Un uomo di valore è un uomo
con valori: egli è l’uomo cavalle-
resco. Il coraggio autentico è la
virtù dell’uomo cavalleresco: la
sua forza. Il suo opposto è l’inco-
scienza, che insieme alla male-
ducazione distingue il bruto. La
vera forza non sta nel pugno, ma
nel carattere. Ecco perciò le paro-
le del coraggio: forza d’animo,
ardimento, bravura, intrepidez-
za, sicurezza, vigore, eroismo,
audacia, prodezza, prontezza di
spirito, risolutezza, grinta, sacri-
ficio, impegno, valore, cuore.
Il coraggioso non è un temerario:
perché ha coraggio solo chi cono-
sce la paura. Ma l’uomo corag-
L'uomo cavalleresco
Quando il valore
di un uomo
sta nei suoi valori