credono di più in una vita dopo la morte, nell’inferno e nel paradiso, in un Dio personale. Perfino la generazione che oggi ha 45-55 anni dimostra una nuova sensibilità religiosa, anche se si riscontra una certa variabilità da un Paese all’altro. Un nuovo interesse religioso, impensabile fino a trent’anni fa, è evidente nei Paesi dell’Est, in particolare in quelli ortodossi, ma anche in Germania, in Portogallo, in Italia, in Svezia e in Danimarca. E’interessante notare che negli anni sessanta, in pieno “boom” economico, molti studiosi sposarono la tesi che all’affermarsi della “modernità” corrispondesse un progressivo abbandono dei valori religiosi. Il concetto chiave per descrivere questo processo fu quello di «secolarizzazione». A quanto pare la tendenza si è invertita, e la nuova parola d’ordine è invece «de-secolarizzazione», ovvero un ritorno forte alla spiritualità. Ad esempio, il sociologo francese Gilles Kepel, ritiene che si possa parlare di un risveglio religioso nell’ambito di ebraismo, cristianesimo e islam a partire dalla metà degli anni ’70, quando si passò dal tentativo di adeguamento ai valori secolari, all’ipotesi di una vera e propria “riconquista” religiosa della società. «La nostra tesi era che la secolarizzazione e la modernità avanzassero di pari passo, ma sbagliavamo – sostiene invece l’americano Peter Berger, quarant’anni fa uno dei maggiori teorici della “secolarizzazione” – la maggior parte del mondo odierno non è secolarizzata. Anzi, è molto religiosa» (Avvenire,13 luglio 2002). E la folla di giovani accorsi in Piazza San Pietro per pregare accanto a Giovanni Paolo II potrebbe esserne un esempio...Forse allora i campi della vita, anche al giorno d’oggi, non sono poi così aridi… Forse anche nel mondo ipertecnologico del nuovo millennio c’è ancora spazio per Dio e per i valori cristiani…
«Vedendo le folle Gesù ne ebbe compassione, perché erano stanche e scoraggiate, come pecore che non hanno un pastore. Allora disse ai discepoli: «La messe da raccogliere è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe»” (Mt 9, 36-10,8).
Il punto di vista di Ermes Ronchi a commento di questo brano di Vangelo è davvero illuminante(Avvenire, 15 giugno 2002), soprattutto dopo essersi soffermati sui dati riportati nei paragrafi
precedenti: «La messe è molta. Io invece credevo che i campi della vita fossero aridi e i tempi cattivi. Io avrei detto: c’è tanto da arare e da faticare;per raccogliere, alla fine, basta chiunque. C’è troppo sudore da mescolare alla semente, una rete da gettare per tutta la notte, e forse per non prendere nulla, come Pietro sul lago. Invece Gesù ci sorprende: il raccolto è abbondante. E ci fa capire che la campagna è sua, la semente la mette lui, il mondo lo fa crescere lui. C’è tanto da raccogliere perché il terreno è buono; la storia sale, positiva, verso un’estate profumata di frutti e non verso un deserto sanguinoso. Dall’alto Qualcuno guarda e vede che il mondo è ancora cosa buona, come all’origine; ha fede ancora nella bontà dell’uomo, perfino nellamia. Ogni cuore è una zolla di terraseminata di germi divini: un misteropassa tra il cuore del singolo e Dio,sul quale io, raccoglitore e pastore,non intervengo, ma ammiro e rin-grazio. Raccoglitori cerca il Signore,perché la fatica più grande l’ha giàfatta qualcun altro, Colui che ancoraesce a seminare su rovi e sassi, sustrade e buon terreno, a piene mani,a pieno cuore. Ma chi ammasserà i raccolti della pace, della giustizia, della fiducia, della gioia. Sono i di-scepoli che si convertono in apostoli. Anche tu sei chiamato ad aggiungere il tuo nome all’elenco dei dodici, ognuno è il tredicesimo apostolo, ognuno scrive il suo quinto vangelo, riceve la stessa missione dei dodici: annunciate che il regno di Dio è vicino. Dite: Dio è vicino; Dio è con voi, con amore. E Lui, il pastore buono che porta le tue insicurezze. Non esiste alcuna scuola che insegni a diventare apostoli, perché non sono le parole, per quanto belle, che contano, ma quanta convinzione, quanta passione e stupore contengono. Come farai a testimoniare che Dio è vicino, se tu per primo non lo senti. Dio non si dimostra, si mostra: con i gesti della pietà e della compassione: guarite, risuscitate, sanate, date...L’inviato è povero: un bastone per appoggiarvi la stanchezza, i sandali per andare e ancora andare. Non ha borsa né denaro, ma ha la pace che illumina gli occhi e la forza che regge le mani. La duplice missione del discepolo è: esistere per Dio, per guarire la vita. O almeno per prenderci cura, se di guarire non siamo capaci, di greggi e di messi, di un mondo barbaro e magnifico».
Gianmarco Boretto
"Questa pagina web è stata creata come esercizio da Carlo Auricchio, allievo del corso UNI3-Nichelino di Informatica Avanzata"